mercoledì 23 aprile 2008

Proposte per il nuovo Governo Berlusconi



martedì 20 novembre 2007

sabato 24 novembre: Genova Città di Pensionati: ma quale pensione per i Giovani?

LE ASSOCIAZIONI "DECIDERE.NET" E WTP INVITANO ALL'INCONTRO
Sabato 24 Novembre 2007 - ore 9.45 presso il Salone di Rappresentanza di Palazzo Tursi al convegno"Genova città di pensionati. Ma quale pensione per i giovani?"Daniele Capezzone - Giancarlo Pagliarini - Enrico Musso - Luca Beltrametti - Renata Oliveri -Ettore Rivabella - Elisabetta Fatuzzo - Paolo Rebuffo
L'invito è stato inserito anche sul portale autonomista: www.progettoautonomia.eu

venerdì 26 ottobre 2007

“E’ una follia vendere i gioielli di famiglia per ridurre il deficit pubblico”

Intervista a Giancarlo Pagliarini

“Che cosa penserebbe lei se il Comune di Bologna decidesse di vendere piazza Maggiore per far diminuire il deficit pubblico? Ecco, io penso che sarebbe una follia”. Usa proprio questo termine “follia”, Giancarlo Pagliarini l'ex ministro al Bilancio nel governo Berlusconi per spiegare le ultime idee rilanciate da Veltroni in materia di riduzione del debito. Secondo il segretario del Pd, “l'Italia deve ridurre il debito e il modo per arrivare a questo risultato è rendere disponibile per vendite e valorizzazioni una parte del patrimonio di cui il paese dispone”. Giulio Tremonti qualche giorno dopo la dichiarazione di Veltroni ha puntualizzato che era stato il governo Berlusconi a lanciare quell'idea. Pagliarini, che oggi parteciperà al convegno “Le tasse non sono bellissime”, organizzato nella sede milanese de l'Opinione, giudica “una sciocchezza” quell'idea.
È in disaccordo sia con Veltroni che con Tremonti?
Quando qualcuno dice una sciocchezza non mi interessa sapere di quale schieramento è. E l'idea di diminuire il debito pubblico vendendo i gioielli di famiglia è una sciocchezza.
Eppure qualcosa bisogna pur fare..
Sono d'accordo. Anche perché non è certo vero che le tasse sono bellissime, come ha detto Padoa Schioppa. Anzi, meno sono e meglio è per tutti, ma bisogna trovare un modo razionale per diminuire il deficit pubblico, obiettivo che per il Paese dovrebbe essere primario.
Qual è la situazione italiana?
L'Italia ha un deficit pubblico enorme, come confermano anche gli ultimi dati Istat. È una situazione che ha origine lontane. Nel 1992 quando lo stato si ritrovò senza soldi per pagare le pensioni, iniziò la privatizzazione. Nel programma elettorale della Cdl si decise di vendere i beni patrimoniali alienabili, salvo scoprire poi che erano quasi tutti in mano ai Comuni. Intanto, il deficit aumentava.
A cosa è dovuta questa situazione?
Al fatto che siamo poco competitivi, le aziende che hanno denaro da investire non vengono in Italia, dove rischiano di non sopravvivere alle tasse.
Per recuperare il deficit, una soluzione diversa dalla vendita del patrimonio immobiliare esiste?
Occorre cambiare la gestione dello Stato in materia di imposte. Gli strumenti potrebbero essere due: una è la flat tax, rilanciata da Capezzone, che prevede una tassa fissa intorno al 20 per cento. L'altra è l'introduzione del federalismo fiscale, come accade in Svizzera, dove i cantoni si fanno concorrenza.
Nel dettaglio, come ci si potrebbe arrivare?
Attraverso il federalismo fiscale. Le tasse statali dovrebbero essere solo due: la prima per i servizi che le istituzioni rendono ai cittadini, che comunque devono essere valutati a costi standard, in modo da raggiungere sempre determinati costi. La seconda, invece, riguarda, la solidarietà e la perequazione: i cittadini, in base al Pil pro capite e tendendo conto del potere d'acquisto e non del valore nominale dell'euro, possono contribuire a far star meglio chi è più povero.
Per il resto, invece?
Tutto il resto diventerebbe di competenza delle Regioni e dei Comuni. Quindi ogni Regione potrebbe decidere quante tasse applicare, in un regime di libera concorrenza. E il patrimonio statale e immobiliare non verrebbe venduto. Con buona pace di bolognesi, milanesi o romani, che non sarebbero costretti ad assistere alla vendita a chissà chi dei loro gioielli di famiglia.

mercoledì 24 ottobre 2007

Petizione contro la legge bavaglio di internet

La legge Levi-Prodi mette a tacere il popolo di Internet. Proposta gia approvata dal consiglio dei ministri ma non ancora approvato dal parlamento: la legge Levi-Prodi prevede che chiunque abbia un blog o un sito debba registrarlo al ROC, un registro dell’Autorità delle Comunicazioni, produrre dei certificati, pagare un bollo, anche se fa informazione senza fini di lucro.In questo modo per poter avere uno spazio web si dovrà avere il beneplacito del ROC.
Al sito http://firmiamo.it/salviamointernet è possibile firmare una petizione contro tale proposta. La seguente petizione , dopo che avrà avuto un esigente numero di firme (si spera oltre 10.000) , verrà segnalata ad alcuni giornali , telegiornali , blogger , critici , siti e altro . In questo modo siamo sicuri che la nostra voce verrà ascoltata .Per una volta fate qualcosa di sensato invece che firmare petizioni inutili . Cerchiamo di salvare uno dei pochi sistemi di comunicazione "non censurati" .

Imposta unica anche in Polonia. E l'Italia?


Buona notizia dalla Polonia, dove il liberale Donald Tusk (foto) stravince le elezioni schiacciando gli ultra-conservatori fino a ieri al potere. Buona notizia, dicevo, certamente per la Polonia ma indirettamente anche per l'Italia.
Tusk e' un liberale sincero, che ha vinto con una piattaforma basata su privatizzazioni, liberalizzazioni e, udite-udite, una tassa unica sui redditi. Eccoci al punto. Anche la Polonia sembra avviata alla conquista della flat tax, idea originariamente proposta dal premio Nobel
Milton Friedman nel 1956.
Si tratta forse di un esperimento unico, azzardato e funambulesco? Niente affatto. Nella sola Europa, sono gia' approdati alla soluzione della flat tax Estonia (1994), Lituania (1995), Russia (2000), Serbia (2003), Ucraina (2004), Slovacchia (2004), Georgia (2004), Romania (2005).
In Italia gli estimatori di un'imposta unica sul reddito non sono pochi.
Primo tra tutti il professor Antonio Martino, allievo a Chicago dello stesso Friedman. Piu' recentemente, Daniele Capezzone sta proponendo il problema della flat-tax come una delle questioni piu' urgenti per una svolta liberale nel nostro Paese. Addirittura la ritroviamo al primo posto nei
tredici punti indicati da lui nel suo Decidere.net .
A tale proposito, consiglio a tutti la visione dell'
intervento dello stesso Martino al convegno organizzato da Decidere.net lo scorso 29 Settembre, nonche' la lettura del suo articolo successivamente scritto per Libero, nel quale si legge:
[...] Una flat tax secondo Friedman, avrebbe prodotto un maggiore gettito per l`erario perché il reddito dichiarato si sarebbe elevato per tre ragioni:1) si sarebbe ridotto l`incentivo ad adottare misure legali ma costose per ridurre le dimensioni dell`imponibile (elusione ed erosione);2) ci sarebbe stato un minore incentivo a dichiarare meno del dovuto (evasione); 3) l`impiego delle risorse sarebbe divenuto più razionale perché si sarebbero rimosse le distorsioni introdotte dalla pluralità di aliquote.
Si sente spesso la necessita' di una fiscalita' piu' giusta e meno soffocante, di un nuovo rapporto tra individuo e Stato anche dal punto di vista delle amate/odiate tasse.

martedì 23 ottobre 2007

Decidere.net a Bergamo con Meno Sprechi, Meno Tasse

Decidere.net e l'associazione Meno Sprechi, Meno tasse organizzano a Bergamo Domenica 28 Ottobre alle ore 17.00 presso lo Starhotel Cristallo Palace via Betty Ambiveri n.35 il convegno "Lamentarsi non basta, bisogna passare dalla protesta alla proposta", verranno discussi i temi del federalismo fiscale competitivo e di come arrivare alla tassa piatta del 20%. Link Volantino

Capezzone: Serve il federalismo fiscale competitivo


''E' interessantissimo lo studio della Cgia di Mestre. E infatti, nella svolta fiscale di cui il paese ha bisogno, il nostro network 'Decidere.net' propone due cose. -afferma il presidente della commissione Attivita' produttive della Camera, Daniele Capezzone - La prima e' il passaggio in cinque anni a una tassa piatta del 20%: insomma, un drastico abbattimento della pressione fiscale complessiva."
" La seconda - continua Capezzone - e' il federalismo fiscale competitivo (dove proprio l'elemento della 'competition' e' decisivo). Insomma, puntiamo ad un significativo trasferimento della potesta' impositiva dal livello locale a quello periferico; e, soprattutto (e qui sta l'elemento competitivo, che e' essenziale), alla possibilita' di pervenire a diversita' di pressione fiscale locale nei diversi territori, per favorire la competizione nell'attrazione di risorse ed investimenti. Questo e' un percorso virtuoso da tentare''. Su queste proposte (come sul complesso delle nostre 13 proposte) valuteremo la convergenza o le distanze con le varie forze politiche. E' l'ora di parlare di cose concrete, che interessano ai cittadini, e di non fermarsi alle sterili dispute tra schieramenti''.

sabato 20 ottobre 2007

20 OTTOBRE/ CAPEZZONE: CHI VA IN PIAZZA LO VA CONTRO I NOSTRI FIGLI

Roma, (Apcom) - "C'è qualcosa di curioso, a dire poco, nella manifestazione che si tiene domani a Roma contro la Legge Biagi, che è una manifestazione, di fatto, contro i nostri figli". E' l'opinione del presidente della commissione Attività produttive di Monetcitorio, Daniele Capezzone.

"La Legge Biagi - afferma il radicale in una nota - ha prodotto in Italia, 2.6 milioni di nuovi contratti di lavoro e di questi 1.8 milioni sono oggi a tempo indeterminato: in buona sostanza, grazie a questa buona riforma, un numero elevatissimo di persone, che era senza lavoro o si barcamenava nell'ambito del lavoro nero, dispone oggi di un contratto regolare e la stragrande maggioranza di questi contratti non sono a termine. Quindi dovremmo tutti, destra e sinistra, festeggiare, e capire come fare ulteriori passi avanti".

"E invece - sottolinea Capezzone - c'è chi punta a criminalizzare la Biagi (e, ancora prima, il pacchetto Treu), riproponendo soluzioni rigide, battute in tutti i paesi dell'Occidente avanzato, governati dal centrodestra liberale o dal centrosinistra liberale. Peraltro, sono davvero ridicoli quelli della sinistra massimalista, che ora, improvvisamente, sembrano dei Papa-boys: d'un tratto, ora, le esternazioni del Pontefice sono gradite...Quanta ipocrisia in chi cambia giudizio a seconda del fatto che le dichiarazioni del Papa siano o non siano strumentalizzabili a proprio favore".

"Semmai - prosegue Capezzone - occorrererebbe criticare il protocollo governativo per ragioni (liberali) opposte a quelle (illiberali) dei manifestanti della sinistra massimalista, e bisognerebbe mettere nel mirino, in particolare, la controriforma delle pensioni proposta dal Governo. Anche in questo caso, un po' di numeri ci aiutano a fare chiarezza. L'Italia rischia di diventare l'unico paese occidentale che, di fatto, abbasserà l'età pensionabile, anziché elevarla. Questa scelta dissennata ci costerà 10 miliardi di euro, e la cosa più incredibile è che quasi la metà della copertura (3,6 miliardi) sarà messa a carico dei lavoratori più giovani, a cui i contributi previdenziali saranno innalzati fino al 26,5%. Morale: un ragazzo 25enne co.co.pro dovrà versare un quarto del suo stipendio in contributi (più le tasse, ovviamente!) per consentire il pagamento delle pensioni ai 58enni. Una follia. Ma una follia, è bene sottolinearlo, messa a carico dei lavoratori più giovani, a cui Padoa Schioppa chiede di pagare il conto, chiamandoli poi 'bamboccioni', per sovrammercato. 'Bamboccioni e paganti': che, da oggi, è un nuovo modo per dire "cornuti e mazziati".

venerdì 19 ottobre 2007

Le due voragini che ostacolano lo sviluppo


Debito pubblico e previdenza
di
Chiara Battistoni

Che si tratti di televisione, radio o carta stampata, non c’è giorno in cui non si incappi in un peana infinito di richieste; tutti a chiedere fondi (intendiamoci, per ragioni sacrosante) come se le disponibilità di cassa del paese fossero infinite, un pozzo di San Patrizio a cui attingere senza remore e alla bisogna. Tutti a chiedere, in apparenza senza rendersi conto che con il debito pubblico stratosferico di cui godiamo, il nostro Paese è condannato a un declino inesorabile. Come possiamo pensare di dedicare risorse per qualsiasi altro progetto quando sulle nostre teste gravano debiti stratosferici che si portano appresso interessi passivi altrettanto stellari (poco meno di 68 miliardi di Euro all’anno per un debito che ammonta a circa 1.576 miliardi di Euro!) ?
Il Commissario Ue agli Affari Monetari ed Economici, Joaquin Almunia, da questo punto di vista, è stato chiarissimo: il debito pubblico dell’Italia è insostenibile per un Paese che voglia crescere; senza un ridimensionamento radicale delle spese non c’è possibilità di invertire la tendenza. Scagliarsi contro i costi della politica serve a poco: pur con un drastico ridimensionamento del numero di parlamentari (così come proposto dalla devoluzione, poi bocciata dal referendum del 2006), per esempio, risparmieremmo sì e no l’equivalente di un giorno e mezzo di interessi passivi sul nostro debito.

Chiaro che di fronte a questi ordini di grandezza il problema è altrove; come ha osservato Giancarlo Pagliarini in occasione del convegno “Federalismo Fiscale, analisi e ipotesi di lavoro”(promosso da Assoedilizia e Università degli Studi di Milano), il primo “buco” è il debito pubblico, ma il secondo è proprio la previdenza, una voragine che nasce dalla differenza tra contributi sociali incassati dagli enti previdenziali e spese per la previdenza (esclusa l’assistenza), circa 42 miliardi di Euro. Se questo è il quadro – e i numeri non mentono – le direzioni da seguire sono ben altre da quelle che si sono imboccate finora; per agire sui due buchi ci vogliono riforme radicali e coraggiose; ridurre il debito pubblico, facendo crescere il Pil (non vendendo il patrimonio pubblico!) e snellire la previdenza.
Misure straordinarie di tagli e tassazione possono avere un effetto temporaneo e di breve periodo, ma non sono in grado di riequilibrare i conti in dissesto di uno stato. Come ha osservato Vito Tanzi in “Questioni di tasse – La lezione dell’Argentina” (Università Bocconi Editore, 2007) “L’equilibrio nei conti dello stato può essere ristabilito esclusivamente affrontando un fondamentale ridimensionamento per via legislativa dell’intervento dei poteri pubblici nell’economia, ossia nel ruolo (determinato dalla legge o dalla Costituzione) dello Stato, adeguando in tal modo il livello di spesa pubblica al livello normale e sostenibile della tassazione. L’equilibrio raggiunto in tal modo fa sì che sul lungo periodo il gettito ordinario dello Stato sia in linea con il livello di spesa pubblica.” (pag. 41) La ricetta c’è, ma è una ricetta difficile da far digerire, con un prezzo elettorale e popolare molto alto, adatta a classi politiche e dirigenti davvero capaci di pensare al futuro del Paese, così audaci da accettare di non essere rielette.

Anche per il secondo “buco” le ricette esistono, accompagnate ormai da una casistica ben documentata. Se le soluzioni possono essere molteplici (tutte, però, concentrate sulla valorizzazione dell’autonomia personale e della responsabilità individuale), unico è il problema: il modello sociale europeo è in crisi, eroso dalla concorrenza che trasforma i modelli economici e dall’invecchiamento della popolazione che costringe a rivedere le dinamiche di lavoro e di assistenza. Come ha osservato Wilfred Prewo (“Oltre lo Stato Assistenziale” Rubbettino, Leonardo Facco, 2005), i sistemi previdenziali di impostazione bismarkiana (per esempio la Germania) traggono il proprio sostentamento finanziario dall’occupazione e, attraverso i “contributi sociali” sui salari a carico dei datori di lavoro, diventano parte integrante del costo del lavoro. Quelli di impostazione “beveridgiana (come la Danimarca) sono invece finanziati dalle entrate statali e, pur non sommandosi direttamente al costo (indiretto) del lavoro, finiscono per generare lo stesso effetto. In un caso come nell’altro, il costo del lavoro, specialmente quello indiretto, cresce con il risultato di rendere il Paese sempre meno competitivo facendo crescere il numero dei disoccupati che vive di sussidi o di proventi da attività “in nero”. In questo modo lo stato assistenziale si dissangua sottraendo risorse per gli investimenti necessari a crescere. Stando ai dati Ocse, dal 1980 a oggi, nei principali Paesi europei, le spese destinate all’assistenza sociale superano gli investimenti con il risultato di impoverire tutti, chi vive oggi e chi vivrà domani. Osserva Prewo “Il destino dello Stato assistenziale rischia di imitare quello degli stati socialisti, altrettanto corrotti sotto l’aspetto morale ed esausti sotto quello economico, alla fine degli anni Ottanta. In assenza di una riforma, esso imploderà, proprio come è avvenuto nell’Europa orientale nel 1989. Il vero atteggiamento antisociale consiste nell’opporsi alla sua riforma.”

Intervista a Capezzone