martedì 16 ottobre 2007

RIDURRE IL PARLAMENTO. MA DI QUANTO?

di Stefano Morandini

Recentemente in Italia si è iniziato a discutere in merito ad una possibile riduzione del numero dei parlamentari. In generale, l’argomento principale a favore di una tale riduzione risiede nell’idea, confermata nel caso italiano dai fatti, che un numero troppo elevato di rappresentanti del popolo, sia collegato in qualche modo ad una quantità maggiore di corruzione e di burocrazia, nonché ad una maggiore difficoltà nell’approvare le riforme necessarie.
L’obiezione principale ad una tale modifica si riferisce alla cosiddetta rappresentanza popolare. In altre parole, se il numero dei rappresentanti è troppo basso, il popolo in questione è sottorappresentato e vi è il rischio di un deficit democratico. Un recente paper degli economisti Emanuelle Auriol e Robert J. Gary-Bobo illustra un interessante punto di vista a riguardo ed elabora una tassonomia del diverso grado di rappresentanza dei parlamenti delle maggiori democrazie mondiali. Seguendo la formalizzazione teorica degli autori, il numero ideale di seggi in Parlamento dovrebbe essere proporzionale alla radice quadrata della popolazione in un dato Paese.In teoria quindi, un Parlamento costituito da un numero di seggi troppo basso si potrebbe caratterizzare per forme di governo poco democratiche tali da approvare politiche non condivise e da sfociare, nei casi più gravi, in episodi di violenza. Al contrario, un numero troppo elevato di seggi produce una serie di costi sociali diretti ed indiretti, come frequenti ed ingiustificate interferenze nelle operazioni di mercato ed una burocrazia elefantiaca tale da creare posizioni di rendita e come diretta conseguenza, corruzione. Questo, ci pare ovvio, è il caso del nostro Paese.Secondo l’impostazione metodologica seguita dagli autori, si elabora una tassonomia composta di cinque gruppi di paesi che si differenziano sulla base del numero di parlamentari e del grado di rappresentanza. Nel primo gruppo vi sono Francia, Spagna ed Italia. Questi sono i paesi caratterizzati da un numero davvero eccessivo di parlamentari. La Francia ha 898 seggi, mentre l’Italia ne conta addirittura 945. Secondo la formalizzazione degli autori il numero ottimale per la Francia sarebbe di 545, mentre per l’Italia 570.Nel secondo gruppo si collocano Grecia, Svizzera, Irlanda e Regno Unito, mentre il terzo gruppo, ovvero quello equilibrio rispetto ai parametri determinati dagli autori, comprende Canada, Germania, Finlandia, India, Giappone, Portogallo, Russia e Svezia. Gli ultimi due gruppi comprendono quei paesi che hanno un numero di parlamentari moderatamente basso e quelli che si collocano molto al di sotto del numero ideale calcolato. Nell’ultimo gruppo si trovano Israele, Nuova Zelanda, Olanda e Stati Uniti.Ovviamente la corrispondenza tra questa classificazione e la qualità dei meccanismi democratici presenta degli evidenti limiti: ad esempio considerare la Russia come un paese equilibrato sulla base di questi criteri è certamente fuorviante. Sistemi democratici diversi possono trovare il proprio equilibrio secondo la diversa composizione della società, perciò basarsi solo su un criterio generale non è sufficiente ai fini di una valutazione completa.Tornando al caso italiano, siamo d’accordo che sia necessario approvare una riduzione del numero dei seggi, proprio per le ragioni individuate nel paper. Tuttavia non desideriamo che i parlamentari vengano ridotti di un numero tale da poter accusare il Parlamento di non essere sufficientemente rappresentativo. Non è detto che il numero suggerito dalla metodologia degli autori, 570, sia realmente ottimale.E’ probabile che le caratteristiche stesse della varia e complessa società italiana richiedano che il numero dei rappresentanti del popolo sia relativamente elevato, o comunque maggiore rispetto a quello ottenuto con un modello generale, teoricamente valido per ogni paese. In conclusione, non vi sono dubbi riguardo la necessità di operare una riduzione del numero dei cosiddetti rappresentanti del popolo. La difficoltà sta nel decidere l’entità di tale riduzione.

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