martedì 9 ottobre 2007

Le tasse? Se nessuno ama pagarle un motivo ci sarà...

di Carlo Stagnaro

Saranno anche bellissime, le tasse, ma allora perché nessuno le vuole pagare? Se un quarto dell’economia italiana è sommersa e una quota forse altrettanto grande non lo è solo perché rifugiarsi nel nero è rischioso o impossibile, allora vuol dire che i cittadini non la pensano come il ministro dell’Economia Tommaso Padoa Schioppa. Anche perché bisogna mettersi d’accordo sulle parole. Recita il dizionario alla voce bello: “capace di provocare un’attrazione fisica o spirituale fine a se stessa, in quanto degno di essere ammirato o contemplato”. Bellissimo ne è il superlativo. Alzi la mano chi si sente fisicamente o spiritualmente attratto dalla dichiarazione dei redditi, o ancor più dall’atto di pagare le imposte. E’ ancora il dizionario che ci soccorre: “imposta” è il participio passato del verbo imporre, cioè “prescrivere o comandare; far sentire inequivocabilmente la propria autorità o superiorità”. Non c’è nulla di esteticamente affascinante in tutto ciò. Del resto, lo stesso ministro ha precisato il concetto: “dovremmo avere il coraggio di dire che le tasse sono una cosa bellissima, un modo civilissimo di contribuire a servizi indispensabili come la salute e la scuola. Poi ci può essere un'insoddisfazione sulla qualità dei servizi ma non una contrarietà di principio per le tasse”.
Scindere le due cose è, però, assai complicato. Uno non può essere felice di pagare per dei servizi inadeguati, perché ciò implica che una parte almeno di quanto viene corrisposto allo Stato è sprecato a causa di inefficienze o dell’estrazione di rendite ingiustificate. Costringere i contribuenti a pagare più del dovuto non è né bello né civile, ma brutto, incivile e ingiusto. Ma anche se vi fosse un’effettiva corrispondenza tra quanto si dà e quel che si ottiene, non sarebbe né bello né civile obbligare la gente a versare i tributi, in quanto la coercizione – cioè la minaccia e poi l’uso della violenza – è brutta e incivile, tanto che, correttamente, ai privati cittadini è impedito farvi ricorso.
Si potrebbe dunque affermare che Padoa Schioppa si è lasciato andare per il gusto della provocazione e che voleva dire una cosa diversa. Egli non intendeva affermare che le tasse sono belle e civili, dicendo che le tasse sono belle e civili, ma semplicemente che esse sono necessarie. Senza le tasse, servizi indispensabili come la salute e la scuola non verrebbero prodotti, o almeno non sarebbero messi a disposizione di tutti, e questo rende tollerabile l’esercizio della violenza da parte dello Stato. E’ così? Numerosi studiosi avrebbero molto da obiettare. Fino a non molto tempo fa lo Stato non si curava della salute o della scuola, ma solo dei cosiddetti beni pubblici, come l’amministrazione della giustizia o la difesa nazionale. Non è che fino ad allora l’educazione o la salute non esistessero. Semplicemente, il mercato forniva la cornice istituzionale entro cui tali servizi erano offerti. Molti attori lo facevano per profitto, come oggi, e altri (per esempio la Chiesa) si concentravano sull’erogazione di assistenza ai poveri, che non avrebbero potuto permettersi di ricorrere all’equivalente di allora delle cliniche o delle università private.
E’ naturalmente vero che allora (e anche oggi) una fetta della popolazione era esclusa dal loro godimento, ma non a causa della natura privata o pubblica del servizio, bensì del fatto che la società nel suo complesso era più povera. E non era più povera perché lo Stato era meno esigente, ma perché l’accumulazione di ricchezza (e capitale umano) è un processo continuo. Una società non nasce ricca, ma si arricchisce nel tempo.
Perfino sui cosiddetti beni pubblici c’è da discutere: il premio Nobel Ronald Coase, tra gli altri, ha dimostrato come appropriati accorgimenti consentano la produzione di beni pubblici in quantità ottimale anche da parte di fornitori privati che seguono le logiche di mercato. Vi è poi una importante tradizione di pensiero, il libertarismo di Murray Rothbard, secondo cui lo Stato non è un male necessario, ma un male e basta. Il Movimento libertario di Leonardo Facco, che si rifà alle tesi rothbardiane e coerentemente sostiene che l’evasione è una forma di legittima difesa, può forse interpretare un approccio utopistico, ma è senz’altro un’utopia più bella e civile di quella di coloro che vogliono sottrarre agli individui il frutto della loro fatica e sono pronti a giustificare nel nome di ciò ogni violenza o abuso purché commesso da uomini in divisa.
In ogni caso, strappa un sorriso l’affermazione che le tasse siano belle e civili: infatti, esse appaiono come uno strumento per costringere la gente a pagare per dei servizi che potrebbe avere comunque spendendo meno, o addirittura non avere nel caso non ne abbia bisogno. Le tasse sono, in effetti, il mezzo della spoliazione di tutti da parte di tutti, nel senso che i vari gruppi di pressione che muovono la politica attraverso la loro interazione ambiscono ad aggiudicarsi benefici – assoluti o relativi – per mezzo del fisco. In un solo senso le tasse sono belle (ma non civili): che qualcuno riesce a vivere alle spalle degli altri grazie ai meccanismi tributari, e almeno per lui tutto ciò deve necessariamente generare attrazioni fisica o spirituale, ancorché non fine a se stessa. Oddio, a ben guardare c’è anche un altro caso in cui qualcuno potrebbe giudicare le imposte bellissime e civili: il godimento sadico di esigerle. Ma questo è un problema che eventualmente riguarda Padoa-Schioppa e il suo analista.

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