venerdì 26 ottobre 2007

“E’ una follia vendere i gioielli di famiglia per ridurre il deficit pubblico”

Intervista a Giancarlo Pagliarini

“Che cosa penserebbe lei se il Comune di Bologna decidesse di vendere piazza Maggiore per far diminuire il deficit pubblico? Ecco, io penso che sarebbe una follia”. Usa proprio questo termine “follia”, Giancarlo Pagliarini l'ex ministro al Bilancio nel governo Berlusconi per spiegare le ultime idee rilanciate da Veltroni in materia di riduzione del debito. Secondo il segretario del Pd, “l'Italia deve ridurre il debito e il modo per arrivare a questo risultato è rendere disponibile per vendite e valorizzazioni una parte del patrimonio di cui il paese dispone”. Giulio Tremonti qualche giorno dopo la dichiarazione di Veltroni ha puntualizzato che era stato il governo Berlusconi a lanciare quell'idea. Pagliarini, che oggi parteciperà al convegno “Le tasse non sono bellissime”, organizzato nella sede milanese de l'Opinione, giudica “una sciocchezza” quell'idea.
È in disaccordo sia con Veltroni che con Tremonti?
Quando qualcuno dice una sciocchezza non mi interessa sapere di quale schieramento è. E l'idea di diminuire il debito pubblico vendendo i gioielli di famiglia è una sciocchezza.
Eppure qualcosa bisogna pur fare..
Sono d'accordo. Anche perché non è certo vero che le tasse sono bellissime, come ha detto Padoa Schioppa. Anzi, meno sono e meglio è per tutti, ma bisogna trovare un modo razionale per diminuire il deficit pubblico, obiettivo che per il Paese dovrebbe essere primario.
Qual è la situazione italiana?
L'Italia ha un deficit pubblico enorme, come confermano anche gli ultimi dati Istat. È una situazione che ha origine lontane. Nel 1992 quando lo stato si ritrovò senza soldi per pagare le pensioni, iniziò la privatizzazione. Nel programma elettorale della Cdl si decise di vendere i beni patrimoniali alienabili, salvo scoprire poi che erano quasi tutti in mano ai Comuni. Intanto, il deficit aumentava.
A cosa è dovuta questa situazione?
Al fatto che siamo poco competitivi, le aziende che hanno denaro da investire non vengono in Italia, dove rischiano di non sopravvivere alle tasse.
Per recuperare il deficit, una soluzione diversa dalla vendita del patrimonio immobiliare esiste?
Occorre cambiare la gestione dello Stato in materia di imposte. Gli strumenti potrebbero essere due: una è la flat tax, rilanciata da Capezzone, che prevede una tassa fissa intorno al 20 per cento. L'altra è l'introduzione del federalismo fiscale, come accade in Svizzera, dove i cantoni si fanno concorrenza.
Nel dettaglio, come ci si potrebbe arrivare?
Attraverso il federalismo fiscale. Le tasse statali dovrebbero essere solo due: la prima per i servizi che le istituzioni rendono ai cittadini, che comunque devono essere valutati a costi standard, in modo da raggiungere sempre determinati costi. La seconda, invece, riguarda, la solidarietà e la perequazione: i cittadini, in base al Pil pro capite e tendendo conto del potere d'acquisto e non del valore nominale dell'euro, possono contribuire a far star meglio chi è più povero.
Per il resto, invece?
Tutto il resto diventerebbe di competenza delle Regioni e dei Comuni. Quindi ogni Regione potrebbe decidere quante tasse applicare, in un regime di libera concorrenza. E il patrimonio statale e immobiliare non verrebbe venduto. Con buona pace di bolognesi, milanesi o romani, che non sarebbero costretti ad assistere alla vendita a chissà chi dei loro gioielli di famiglia.

mercoledì 24 ottobre 2007

Petizione contro la legge bavaglio di internet

La legge Levi-Prodi mette a tacere il popolo di Internet. Proposta gia approvata dal consiglio dei ministri ma non ancora approvato dal parlamento: la legge Levi-Prodi prevede che chiunque abbia un blog o un sito debba registrarlo al ROC, un registro dell’Autorità delle Comunicazioni, produrre dei certificati, pagare un bollo, anche se fa informazione senza fini di lucro.In questo modo per poter avere uno spazio web si dovrà avere il beneplacito del ROC.
Al sito http://firmiamo.it/salviamointernet è possibile firmare una petizione contro tale proposta. La seguente petizione , dopo che avrà avuto un esigente numero di firme (si spera oltre 10.000) , verrà segnalata ad alcuni giornali , telegiornali , blogger , critici , siti e altro . In questo modo siamo sicuri che la nostra voce verrà ascoltata .Per una volta fate qualcosa di sensato invece che firmare petizioni inutili . Cerchiamo di salvare uno dei pochi sistemi di comunicazione "non censurati" .

Imposta unica anche in Polonia. E l'Italia?


Buona notizia dalla Polonia, dove il liberale Donald Tusk (foto) stravince le elezioni schiacciando gli ultra-conservatori fino a ieri al potere. Buona notizia, dicevo, certamente per la Polonia ma indirettamente anche per l'Italia.
Tusk e' un liberale sincero, che ha vinto con una piattaforma basata su privatizzazioni, liberalizzazioni e, udite-udite, una tassa unica sui redditi. Eccoci al punto. Anche la Polonia sembra avviata alla conquista della flat tax, idea originariamente proposta dal premio Nobel
Milton Friedman nel 1956.
Si tratta forse di un esperimento unico, azzardato e funambulesco? Niente affatto. Nella sola Europa, sono gia' approdati alla soluzione della flat tax Estonia (1994), Lituania (1995), Russia (2000), Serbia (2003), Ucraina (2004), Slovacchia (2004), Georgia (2004), Romania (2005).
In Italia gli estimatori di un'imposta unica sul reddito non sono pochi.
Primo tra tutti il professor Antonio Martino, allievo a Chicago dello stesso Friedman. Piu' recentemente, Daniele Capezzone sta proponendo il problema della flat-tax come una delle questioni piu' urgenti per una svolta liberale nel nostro Paese. Addirittura la ritroviamo al primo posto nei
tredici punti indicati da lui nel suo Decidere.net .
A tale proposito, consiglio a tutti la visione dell'
intervento dello stesso Martino al convegno organizzato da Decidere.net lo scorso 29 Settembre, nonche' la lettura del suo articolo successivamente scritto per Libero, nel quale si legge:
[...] Una flat tax secondo Friedman, avrebbe prodotto un maggiore gettito per l`erario perché il reddito dichiarato si sarebbe elevato per tre ragioni:1) si sarebbe ridotto l`incentivo ad adottare misure legali ma costose per ridurre le dimensioni dell`imponibile (elusione ed erosione);2) ci sarebbe stato un minore incentivo a dichiarare meno del dovuto (evasione); 3) l`impiego delle risorse sarebbe divenuto più razionale perché si sarebbero rimosse le distorsioni introdotte dalla pluralità di aliquote.
Si sente spesso la necessita' di una fiscalita' piu' giusta e meno soffocante, di un nuovo rapporto tra individuo e Stato anche dal punto di vista delle amate/odiate tasse.

martedì 23 ottobre 2007

Decidere.net a Bergamo con Meno Sprechi, Meno Tasse

Decidere.net e l'associazione Meno Sprechi, Meno tasse organizzano a Bergamo Domenica 28 Ottobre alle ore 17.00 presso lo Starhotel Cristallo Palace via Betty Ambiveri n.35 il convegno "Lamentarsi non basta, bisogna passare dalla protesta alla proposta", verranno discussi i temi del federalismo fiscale competitivo e di come arrivare alla tassa piatta del 20%. Link Volantino

Capezzone: Serve il federalismo fiscale competitivo


''E' interessantissimo lo studio della Cgia di Mestre. E infatti, nella svolta fiscale di cui il paese ha bisogno, il nostro network 'Decidere.net' propone due cose. -afferma il presidente della commissione Attivita' produttive della Camera, Daniele Capezzone - La prima e' il passaggio in cinque anni a una tassa piatta del 20%: insomma, un drastico abbattimento della pressione fiscale complessiva."
" La seconda - continua Capezzone - e' il federalismo fiscale competitivo (dove proprio l'elemento della 'competition' e' decisivo). Insomma, puntiamo ad un significativo trasferimento della potesta' impositiva dal livello locale a quello periferico; e, soprattutto (e qui sta l'elemento competitivo, che e' essenziale), alla possibilita' di pervenire a diversita' di pressione fiscale locale nei diversi territori, per favorire la competizione nell'attrazione di risorse ed investimenti. Questo e' un percorso virtuoso da tentare''. Su queste proposte (come sul complesso delle nostre 13 proposte) valuteremo la convergenza o le distanze con le varie forze politiche. E' l'ora di parlare di cose concrete, che interessano ai cittadini, e di non fermarsi alle sterili dispute tra schieramenti''.

sabato 20 ottobre 2007

20 OTTOBRE/ CAPEZZONE: CHI VA IN PIAZZA LO VA CONTRO I NOSTRI FIGLI

Roma, (Apcom) - "C'è qualcosa di curioso, a dire poco, nella manifestazione che si tiene domani a Roma contro la Legge Biagi, che è una manifestazione, di fatto, contro i nostri figli". E' l'opinione del presidente della commissione Attività produttive di Monetcitorio, Daniele Capezzone.

"La Legge Biagi - afferma il radicale in una nota - ha prodotto in Italia, 2.6 milioni di nuovi contratti di lavoro e di questi 1.8 milioni sono oggi a tempo indeterminato: in buona sostanza, grazie a questa buona riforma, un numero elevatissimo di persone, che era senza lavoro o si barcamenava nell'ambito del lavoro nero, dispone oggi di un contratto regolare e la stragrande maggioranza di questi contratti non sono a termine. Quindi dovremmo tutti, destra e sinistra, festeggiare, e capire come fare ulteriori passi avanti".

"E invece - sottolinea Capezzone - c'è chi punta a criminalizzare la Biagi (e, ancora prima, il pacchetto Treu), riproponendo soluzioni rigide, battute in tutti i paesi dell'Occidente avanzato, governati dal centrodestra liberale o dal centrosinistra liberale. Peraltro, sono davvero ridicoli quelli della sinistra massimalista, che ora, improvvisamente, sembrano dei Papa-boys: d'un tratto, ora, le esternazioni del Pontefice sono gradite...Quanta ipocrisia in chi cambia giudizio a seconda del fatto che le dichiarazioni del Papa siano o non siano strumentalizzabili a proprio favore".

"Semmai - prosegue Capezzone - occorrererebbe criticare il protocollo governativo per ragioni (liberali) opposte a quelle (illiberali) dei manifestanti della sinistra massimalista, e bisognerebbe mettere nel mirino, in particolare, la controriforma delle pensioni proposta dal Governo. Anche in questo caso, un po' di numeri ci aiutano a fare chiarezza. L'Italia rischia di diventare l'unico paese occidentale che, di fatto, abbasserà l'età pensionabile, anziché elevarla. Questa scelta dissennata ci costerà 10 miliardi di euro, e la cosa più incredibile è che quasi la metà della copertura (3,6 miliardi) sarà messa a carico dei lavoratori più giovani, a cui i contributi previdenziali saranno innalzati fino al 26,5%. Morale: un ragazzo 25enne co.co.pro dovrà versare un quarto del suo stipendio in contributi (più le tasse, ovviamente!) per consentire il pagamento delle pensioni ai 58enni. Una follia. Ma una follia, è bene sottolinearlo, messa a carico dei lavoratori più giovani, a cui Padoa Schioppa chiede di pagare il conto, chiamandoli poi 'bamboccioni', per sovrammercato. 'Bamboccioni e paganti': che, da oggi, è un nuovo modo per dire "cornuti e mazziati".

venerdì 19 ottobre 2007

Le due voragini che ostacolano lo sviluppo


Debito pubblico e previdenza
di
Chiara Battistoni

Che si tratti di televisione, radio o carta stampata, non c’è giorno in cui non si incappi in un peana infinito di richieste; tutti a chiedere fondi (intendiamoci, per ragioni sacrosante) come se le disponibilità di cassa del paese fossero infinite, un pozzo di San Patrizio a cui attingere senza remore e alla bisogna. Tutti a chiedere, in apparenza senza rendersi conto che con il debito pubblico stratosferico di cui godiamo, il nostro Paese è condannato a un declino inesorabile. Come possiamo pensare di dedicare risorse per qualsiasi altro progetto quando sulle nostre teste gravano debiti stratosferici che si portano appresso interessi passivi altrettanto stellari (poco meno di 68 miliardi di Euro all’anno per un debito che ammonta a circa 1.576 miliardi di Euro!) ?
Il Commissario Ue agli Affari Monetari ed Economici, Joaquin Almunia, da questo punto di vista, è stato chiarissimo: il debito pubblico dell’Italia è insostenibile per un Paese che voglia crescere; senza un ridimensionamento radicale delle spese non c’è possibilità di invertire la tendenza. Scagliarsi contro i costi della politica serve a poco: pur con un drastico ridimensionamento del numero di parlamentari (così come proposto dalla devoluzione, poi bocciata dal referendum del 2006), per esempio, risparmieremmo sì e no l’equivalente di un giorno e mezzo di interessi passivi sul nostro debito.

Chiaro che di fronte a questi ordini di grandezza il problema è altrove; come ha osservato Giancarlo Pagliarini in occasione del convegno “Federalismo Fiscale, analisi e ipotesi di lavoro”(promosso da Assoedilizia e Università degli Studi di Milano), il primo “buco” è il debito pubblico, ma il secondo è proprio la previdenza, una voragine che nasce dalla differenza tra contributi sociali incassati dagli enti previdenziali e spese per la previdenza (esclusa l’assistenza), circa 42 miliardi di Euro. Se questo è il quadro – e i numeri non mentono – le direzioni da seguire sono ben altre da quelle che si sono imboccate finora; per agire sui due buchi ci vogliono riforme radicali e coraggiose; ridurre il debito pubblico, facendo crescere il Pil (non vendendo il patrimonio pubblico!) e snellire la previdenza.
Misure straordinarie di tagli e tassazione possono avere un effetto temporaneo e di breve periodo, ma non sono in grado di riequilibrare i conti in dissesto di uno stato. Come ha osservato Vito Tanzi in “Questioni di tasse – La lezione dell’Argentina” (Università Bocconi Editore, 2007) “L’equilibrio nei conti dello stato può essere ristabilito esclusivamente affrontando un fondamentale ridimensionamento per via legislativa dell’intervento dei poteri pubblici nell’economia, ossia nel ruolo (determinato dalla legge o dalla Costituzione) dello Stato, adeguando in tal modo il livello di spesa pubblica al livello normale e sostenibile della tassazione. L’equilibrio raggiunto in tal modo fa sì che sul lungo periodo il gettito ordinario dello Stato sia in linea con il livello di spesa pubblica.” (pag. 41) La ricetta c’è, ma è una ricetta difficile da far digerire, con un prezzo elettorale e popolare molto alto, adatta a classi politiche e dirigenti davvero capaci di pensare al futuro del Paese, così audaci da accettare di non essere rielette.

Anche per il secondo “buco” le ricette esistono, accompagnate ormai da una casistica ben documentata. Se le soluzioni possono essere molteplici (tutte, però, concentrate sulla valorizzazione dell’autonomia personale e della responsabilità individuale), unico è il problema: il modello sociale europeo è in crisi, eroso dalla concorrenza che trasforma i modelli economici e dall’invecchiamento della popolazione che costringe a rivedere le dinamiche di lavoro e di assistenza. Come ha osservato Wilfred Prewo (“Oltre lo Stato Assistenziale” Rubbettino, Leonardo Facco, 2005), i sistemi previdenziali di impostazione bismarkiana (per esempio la Germania) traggono il proprio sostentamento finanziario dall’occupazione e, attraverso i “contributi sociali” sui salari a carico dei datori di lavoro, diventano parte integrante del costo del lavoro. Quelli di impostazione “beveridgiana (come la Danimarca) sono invece finanziati dalle entrate statali e, pur non sommandosi direttamente al costo (indiretto) del lavoro, finiscono per generare lo stesso effetto. In un caso come nell’altro, il costo del lavoro, specialmente quello indiretto, cresce con il risultato di rendere il Paese sempre meno competitivo facendo crescere il numero dei disoccupati che vive di sussidi o di proventi da attività “in nero”. In questo modo lo stato assistenziale si dissangua sottraendo risorse per gli investimenti necessari a crescere. Stando ai dati Ocse, dal 1980 a oggi, nei principali Paesi europei, le spese destinate all’assistenza sociale superano gli investimenti con il risultato di impoverire tutti, chi vive oggi e chi vivrà domani. Osserva Prewo “Il destino dello Stato assistenziale rischia di imitare quello degli stati socialisti, altrettanto corrotti sotto l’aspetto morale ed esausti sotto quello economico, alla fine degli anni Ottanta. In assenza di una riforma, esso imploderà, proprio come è avvenuto nell’Europa orientale nel 1989. Il vero atteggiamento antisociale consiste nell’opporsi alla sua riforma.”

Intervista a Capezzone



martedì 16 ottobre 2007

RIDURRE IL PARLAMENTO. MA DI QUANTO?

di Stefano Morandini

Recentemente in Italia si è iniziato a discutere in merito ad una possibile riduzione del numero dei parlamentari. In generale, l’argomento principale a favore di una tale riduzione risiede nell’idea, confermata nel caso italiano dai fatti, che un numero troppo elevato di rappresentanti del popolo, sia collegato in qualche modo ad una quantità maggiore di corruzione e di burocrazia, nonché ad una maggiore difficoltà nell’approvare le riforme necessarie.
L’obiezione principale ad una tale modifica si riferisce alla cosiddetta rappresentanza popolare. In altre parole, se il numero dei rappresentanti è troppo basso, il popolo in questione è sottorappresentato e vi è il rischio di un deficit democratico. Un recente paper degli economisti Emanuelle Auriol e Robert J. Gary-Bobo illustra un interessante punto di vista a riguardo ed elabora una tassonomia del diverso grado di rappresentanza dei parlamenti delle maggiori democrazie mondiali. Seguendo la formalizzazione teorica degli autori, il numero ideale di seggi in Parlamento dovrebbe essere proporzionale alla radice quadrata della popolazione in un dato Paese.In teoria quindi, un Parlamento costituito da un numero di seggi troppo basso si potrebbe caratterizzare per forme di governo poco democratiche tali da approvare politiche non condivise e da sfociare, nei casi più gravi, in episodi di violenza. Al contrario, un numero troppo elevato di seggi produce una serie di costi sociali diretti ed indiretti, come frequenti ed ingiustificate interferenze nelle operazioni di mercato ed una burocrazia elefantiaca tale da creare posizioni di rendita e come diretta conseguenza, corruzione. Questo, ci pare ovvio, è il caso del nostro Paese.Secondo l’impostazione metodologica seguita dagli autori, si elabora una tassonomia composta di cinque gruppi di paesi che si differenziano sulla base del numero di parlamentari e del grado di rappresentanza. Nel primo gruppo vi sono Francia, Spagna ed Italia. Questi sono i paesi caratterizzati da un numero davvero eccessivo di parlamentari. La Francia ha 898 seggi, mentre l’Italia ne conta addirittura 945. Secondo la formalizzazione degli autori il numero ottimale per la Francia sarebbe di 545, mentre per l’Italia 570.Nel secondo gruppo si collocano Grecia, Svizzera, Irlanda e Regno Unito, mentre il terzo gruppo, ovvero quello equilibrio rispetto ai parametri determinati dagli autori, comprende Canada, Germania, Finlandia, India, Giappone, Portogallo, Russia e Svezia. Gli ultimi due gruppi comprendono quei paesi che hanno un numero di parlamentari moderatamente basso e quelli che si collocano molto al di sotto del numero ideale calcolato. Nell’ultimo gruppo si trovano Israele, Nuova Zelanda, Olanda e Stati Uniti.Ovviamente la corrispondenza tra questa classificazione e la qualità dei meccanismi democratici presenta degli evidenti limiti: ad esempio considerare la Russia come un paese equilibrato sulla base di questi criteri è certamente fuorviante. Sistemi democratici diversi possono trovare il proprio equilibrio secondo la diversa composizione della società, perciò basarsi solo su un criterio generale non è sufficiente ai fini di una valutazione completa.Tornando al caso italiano, siamo d’accordo che sia necessario approvare una riduzione del numero dei seggi, proprio per le ragioni individuate nel paper. Tuttavia non desideriamo che i parlamentari vengano ridotti di un numero tale da poter accusare il Parlamento di non essere sufficientemente rappresentativo. Non è detto che il numero suggerito dalla metodologia degli autori, 570, sia realmente ottimale.E’ probabile che le caratteristiche stesse della varia e complessa società italiana richiedano che il numero dei rappresentanti del popolo sia relativamente elevato, o comunque maggiore rispetto a quello ottenuto con un modello generale, teoricamente valido per ogni paese. In conclusione, non vi sono dubbi riguardo la necessità di operare una riduzione del numero dei cosiddetti rappresentanti del popolo. La difficoltà sta nel decidere l’entità di tale riduzione.

La risposta di Giancarlo Pagliarini a Obiettivo Nord Ovest


Bravi! Qui di seguito trovate come ho sviluppato il tema del federalismo alle due manifestazioni di DECIDERE.NET a Roma il 22 Settembre al Panteon e a Milano 29 Settembre al teatro Angelicum. Poi ne abbiamo parlato l'11 Ottobre a unconvegno sul decreto del 3 Agosto sul cd "federalismo fiscale" all'Università statale di Milano. Se iete d'accordo su queste idee aiutatemi a farle girare. Se c'è qualcosa che non vi convince ditemelo.

Primo:
identificare i compiti dello Stato, che sono di due tipi: compiti legislativi e compiti operativi
Secondo:
i compliti legislativi sono "esclusivi" (pochi) e "concorrenti", assieme alle Regioni. Pochi anche questi.
Terzo:
tutte le altre leggi sono responsabilità delle singole Regioni.Anche in concorrenza tra di loro. Non è"caos", è gara a chi amministra meglio, a dove la qualità della vita è migliore, a dove si attirano più investimenti e a dove c'è più sicurezza e meno ladri a piede libero.
Quarto:
I compiti operativi dello Stato cemtyrale sono pochissimi. Includono le gestione del debito pubblico della Repubblica, ma non la gestione del welfare (LSU, pensioni di invalidità, ecc)
Quinto:
i compiti dello Stato sono valutati a costi standard
Sesto:
i compiti dello Stato sono finanziati con una delle due tasse nazionali. La "tassa per pagare iservizi dello Stato"
Settimo:
la seconda tassa nazionale è la "tassa per la solidarietà e perequazione"La pagano tutti, il gettito va in un "piatto comune". Si calcola il PIL medio pro-capite nazionale. Le regioni che lo superano non ricevono niente. Quelle dove si genera un PIL pro capite inferiore alla media nazionale incassano quote della "tassa per la solidarietà e perequazione", a condizione che non vi sia significativa evasione fiscale e contributiva
Ottavo:
il calcolo non viene effettuato sui valori nominali, ma sulla base del "potere d'acquisto".
Nono:
tutto il resto, tutte le altre tasse, sono gestite dalle Regioni. Principio della concorrenza fiscale tra lele Regioni. Come in Svizzera. Esempio del cantone di Obvaldo: hanno deciso di passare a breve alla flat tax.
Decimo:
nelle Regioni dove si decide di dare tanti servizi ai residenti ( cittadini, imprese, associazioni ecc) lapressione fiscale sarà superiore della pressione nelle Regioni dove gli amministratori decidono di dare meno
servizi. Non vi sembra logico? Ciao. Paglia

lunedì 15 ottobre 2007

"Obiettivo Nord Ovest" disponibile a dialogare e collaborare con "Decidere.net"


Il Movimento “Obiettivo Nord Ovest” guarda sempre con interesse tutto ciò che si muove in direzione di un cambiamento del Paese in senso federalista. Per questo “Obiettivo Nord Ovest” é disponibile a reciproche collaborazioni con il network “Decidere.net” su un progetto di riforme ed in particolare sul federalismo fiscale competitivo. Ci permettiamo un suggerimento: includere nel programma il federalismo politico, considerando che, senza di esso, non può esistere il federalismo fiscale. Carlo Stagnaro, in una sua rubrica, definiva il federalismo come un patto tra entità istituzionali diverse e reciprocamente indipendenti, che mettono in comune alcune competenze. Tale patto, dunque, lascia ad ogni contraente totale autonomia tanto sotto il profilo politico quanto sotto quello fiscale, fatte salve, appunto, le mansioni delegate al centro. Risulta assai difficile anche soltanto immaginare un patto che coinvolga la sola sfera politica, piuttosto che la sola sfera economica. L’espressione “federalismo fiscale” assume spesso significati diversi, come la semplice gestione dei tributi a livello locale, che, di fatto, non porterebbe alcun vantaggio sostanziale per il cittadino. Occorre quindi specificare che comuni, province e regioni devono poter decidere quali e quanti tributi imporre e come spenderli, trattenendone la quasi totalità, fatta salva una percentuale, preventivamente stabilita, da destinarsi ad un fondo di perequazione per le regioni più svantaggiate. Ma il federalismo non è solo questo: federalismo è anche il riconoscimento e la tutela delle identità e specificità locali, federalismo è soprattutto sovranità popolare. Noi di “Obiettivo Nord Ovest” siamo convinti di poter offrire un prezioso contributo su questa tema e, collaborando con persone altamente qualificate e conoscitrici della materia, presenti tra i firmatari di “Decidere.net”, possiamo convertire un “astratto” punto programmatico in proposte serie, concrete ed efficaci.

venerdì 12 ottobre 2007

Nobel per la Pace ad Al Gore. I commenti di Capezzone e dell'IBL


Il Premio Nobel per la Pace ad Al Gore non convince Daniele Capezzone: «Le sue ricette avrebbero scarso effetto sul piano ambientale, e un effetto devastante dal punto di vista economico. Più pericolosi di Gore - aggiunge - i "Gore alla vaccinara" di casa nostra, i profeti del veto, i campioni del no a tutto. No tav, no base, no nucleare, no carbone, no rigassificatori, no termovalorizzatori, no tutto: questi sono gli avversari di una politica liberale, pragmatica, moderna». Per l'Istituto Bruno Leoni, il Nobel per la Pace ad Al Gore «è l'ultimo atto di una commedia attentamente pianificata e facilmente prevedibile». Sul documentario di Al Gore l'IBL propone un focus di Alan Patarga: "Tutte le balle del vicepresidente".


Carlo Stagnaro, direttore Energia e ambiente dell'IBL, commenta: «Ma che ha fatto Al Gore per la pace nel mondo? L'ex vicepresidente americano ha l'unico pregio di aver prodotto un film di fantascienza di grande successo, che gli è valso un premio Oscar e presumibilmente ha ulteriormente rafforzato la sua già solida posizione economica. Se però si vuole prendere Gore sul serio, e non come cinematografaro, allora il giudizio cambia radicalmente: egli ha piegato la scienza a scopi brutalmente politici, mostrando scarso o nessun rispetto per quegli scienziati che hanno manifestato dissenso. Le politiche invocate da Gore sarebbero economicamente folli e non avrebbero alcun impatto discernibile sul clima».

Flat Tax - Tassa Piatta

pubblichiamo un contributo video sul tema "Flat Tax" realizzato da Danilo Formica; se volete potete inviare i vostri video in formato .zip all'indirizzo info@decideresavona.net, in alternativa potete pubblicarli su una delle piattaforme web esistenti (es. you tube) e segnalarci il video all'indirizzo mail sopra citato.



per ascoltare l'audio spegni il televisorino accanto o abbassa il volume cliccando sull'apposito tasto al di sotto dello schermo

mercoledì 10 ottobre 2007

Nasce Decidere Imperia

Nasce anche ad Imperia un gruppo locale del network liberale decidere.net; in Liguria è il terzo gruppo operante dopo quelli di Genova e Savona. In poco più di due mesi sono già centinaia gli iscritti. Potrete trovare on line il gruppo imperiese all'indirizzo: http://www.decidereimperia.blogspot.com/ per info: decidereimperia@libero.it

Collegati in diretta per seguire il primo appuntamento di Decidere.tv: oggi, mercoledi 10 ottobre, alle ore 18.30

Di la tua! Da oggi, 10 ottobre, e ogni mercoledì potrai seguire in diretta Daniele Capezzone, alle 18.30 su http://www.decideresavona.net/ e Decidere.tv
Sarà un appuntamento importante dove il promotore di Decidere.net commenterà i primi video mandati a Decidere.net dagli utenti.
E lancerà il tema della puntata successiva dove poter intervenire con commenti video. Come interagire? Postate il video su Decidere.Tv (http://video.decidere.tv/), dopo esservi iscritti, e Daniele Capezzone li commenterà.


martedì 9 ottobre 2007

Le tasse? Se nessuno ama pagarle un motivo ci sarà...

di Carlo Stagnaro

Saranno anche bellissime, le tasse, ma allora perché nessuno le vuole pagare? Se un quarto dell’economia italiana è sommersa e una quota forse altrettanto grande non lo è solo perché rifugiarsi nel nero è rischioso o impossibile, allora vuol dire che i cittadini non la pensano come il ministro dell’Economia Tommaso Padoa Schioppa. Anche perché bisogna mettersi d’accordo sulle parole. Recita il dizionario alla voce bello: “capace di provocare un’attrazione fisica o spirituale fine a se stessa, in quanto degno di essere ammirato o contemplato”. Bellissimo ne è il superlativo. Alzi la mano chi si sente fisicamente o spiritualmente attratto dalla dichiarazione dei redditi, o ancor più dall’atto di pagare le imposte. E’ ancora il dizionario che ci soccorre: “imposta” è il participio passato del verbo imporre, cioè “prescrivere o comandare; far sentire inequivocabilmente la propria autorità o superiorità”. Non c’è nulla di esteticamente affascinante in tutto ciò. Del resto, lo stesso ministro ha precisato il concetto: “dovremmo avere il coraggio di dire che le tasse sono una cosa bellissima, un modo civilissimo di contribuire a servizi indispensabili come la salute e la scuola. Poi ci può essere un'insoddisfazione sulla qualità dei servizi ma non una contrarietà di principio per le tasse”.
Scindere le due cose è, però, assai complicato. Uno non può essere felice di pagare per dei servizi inadeguati, perché ciò implica che una parte almeno di quanto viene corrisposto allo Stato è sprecato a causa di inefficienze o dell’estrazione di rendite ingiustificate. Costringere i contribuenti a pagare più del dovuto non è né bello né civile, ma brutto, incivile e ingiusto. Ma anche se vi fosse un’effettiva corrispondenza tra quanto si dà e quel che si ottiene, non sarebbe né bello né civile obbligare la gente a versare i tributi, in quanto la coercizione – cioè la minaccia e poi l’uso della violenza – è brutta e incivile, tanto che, correttamente, ai privati cittadini è impedito farvi ricorso.
Si potrebbe dunque affermare che Padoa Schioppa si è lasciato andare per il gusto della provocazione e che voleva dire una cosa diversa. Egli non intendeva affermare che le tasse sono belle e civili, dicendo che le tasse sono belle e civili, ma semplicemente che esse sono necessarie. Senza le tasse, servizi indispensabili come la salute e la scuola non verrebbero prodotti, o almeno non sarebbero messi a disposizione di tutti, e questo rende tollerabile l’esercizio della violenza da parte dello Stato. E’ così? Numerosi studiosi avrebbero molto da obiettare. Fino a non molto tempo fa lo Stato non si curava della salute o della scuola, ma solo dei cosiddetti beni pubblici, come l’amministrazione della giustizia o la difesa nazionale. Non è che fino ad allora l’educazione o la salute non esistessero. Semplicemente, il mercato forniva la cornice istituzionale entro cui tali servizi erano offerti. Molti attori lo facevano per profitto, come oggi, e altri (per esempio la Chiesa) si concentravano sull’erogazione di assistenza ai poveri, che non avrebbero potuto permettersi di ricorrere all’equivalente di allora delle cliniche o delle università private.
E’ naturalmente vero che allora (e anche oggi) una fetta della popolazione era esclusa dal loro godimento, ma non a causa della natura privata o pubblica del servizio, bensì del fatto che la società nel suo complesso era più povera. E non era più povera perché lo Stato era meno esigente, ma perché l’accumulazione di ricchezza (e capitale umano) è un processo continuo. Una società non nasce ricca, ma si arricchisce nel tempo.
Perfino sui cosiddetti beni pubblici c’è da discutere: il premio Nobel Ronald Coase, tra gli altri, ha dimostrato come appropriati accorgimenti consentano la produzione di beni pubblici in quantità ottimale anche da parte di fornitori privati che seguono le logiche di mercato. Vi è poi una importante tradizione di pensiero, il libertarismo di Murray Rothbard, secondo cui lo Stato non è un male necessario, ma un male e basta. Il Movimento libertario di Leonardo Facco, che si rifà alle tesi rothbardiane e coerentemente sostiene che l’evasione è una forma di legittima difesa, può forse interpretare un approccio utopistico, ma è senz’altro un’utopia più bella e civile di quella di coloro che vogliono sottrarre agli individui il frutto della loro fatica e sono pronti a giustificare nel nome di ciò ogni violenza o abuso purché commesso da uomini in divisa.
In ogni caso, strappa un sorriso l’affermazione che le tasse siano belle e civili: infatti, esse appaiono come uno strumento per costringere la gente a pagare per dei servizi che potrebbe avere comunque spendendo meno, o addirittura non avere nel caso non ne abbia bisogno. Le tasse sono, in effetti, il mezzo della spoliazione di tutti da parte di tutti, nel senso che i vari gruppi di pressione che muovono la politica attraverso la loro interazione ambiscono ad aggiudicarsi benefici – assoluti o relativi – per mezzo del fisco. In un solo senso le tasse sono belle (ma non civili): che qualcuno riesce a vivere alle spalle degli altri grazie ai meccanismi tributari, e almeno per lui tutto ciò deve necessariamente generare attrazioni fisica o spirituale, ancorché non fine a se stessa. Oddio, a ben guardare c’è anche un altro caso in cui qualcuno potrebbe giudicare le imposte bellissime e civili: il godimento sadico di esigerle. Ma questo è un problema che eventualmente riguarda Padoa-Schioppa e il suo analista.

lunedì 8 ottobre 2007

Caro-benzina. Proposta concreta Decidere.net/IBL: tagliare le accise


La polemica estiva sui prezzi dei carburanti finora non ha prodotto altro che generici appelli alla responsabilità dei petrolieri e ipotesi, evocate da esponenti di governo, sulle quali regna la totale incertezza e che comunque appaiono insufficienti. I rincari hanno invece avuto il merito di attirare l'attenzione sull'enormità del prelievo fiscale. Nell'ennesimo dibattito in cui non s'intravedono sbocchi risolutivi, intervengono Decidere.net e l'Istituto Bruno Leoni, avanzando una proposta concreta: il taglio delle accise su benzina e gasolio, fino a portare il prelievo rispettivamente a 0,359 centesimi per litro (contro gli attuali 0,564) e a 0,302 centesimi per litro (contro gli attuali 0,423). Tale diminuzione delle tasse - fino al livello minimo consentito dall'Unione europea - porterebbe un risparmio di 12,3 euro per pieno di benzina e di 7,3 euro per pieno di gasolio. In altre parole, con gli stessi 100 euro si acquisterebbero 91 litri di benzinainvece degli attuali 74 e 97 litri di gasolio invece degli attuali 87. Tutti i dati in questo documento: scarica (formato pdf.).
Dice Daniele Capezzone: “Sono da tempo convinto che il maggior problema italiano sia quello dell'imposizione fiscale: per un verso del suo livello abnorme, e per altro verso delle sue modalità spesso assai discutibili (specie se poco ‘visibili’ per il cittadino a cui lo stato continua a mettere le mani in tasca). La abnorme tassazione sulla benzina è esempio di tutto questo: quasi il 60% del prezzo della benzina che se ne va in tasse, con scarsissima visibilità di questo prelievo per il contribuente (quanti conoscono queste cifre?). Ecco perché la proposta che oggi annunciamo con l'Istituto Bruno Leoni ha un doppio valore: di abbassamento del livello della vessazione fiscale, e anche di chiarezza e trasparenza a favore del cittadino-utente-contribuente”.

Aggiunge Carlo Stagnaro, direttore Energia e ambiente dell'IBL: “secondo i risultati di un sondaggio, l'accisa sulla benzina è la tassa più odiata dagli italiani. Con buone ragioni: il nostro è un paese lungo e stretto, dove spostarsi significa necessariamente spostarsi in macchina. È questo che rende particolarmente odioso il dazio che lo Stato chiede ai cittadini. E, se è vero che il prelievo fiscale sui carburanti è in linea con la media europea, è anche vero che gli italiani hanno redditi inferiori rispetto alla maggior parte degli altri cittadini comunitari: l'asimmetria è davvero visibile, allora, nel senso che la quota di reddito disponibile è nel nostro paese inferiore. Ridurre il prelievo sulla benzina sarebbe un gesto di rispetto nei confronti dei contribuenti, e costringerebbe il settore pubblico a far fronte alle minori entrate effettuando tagli alla spesa. Solo in questo modo si potrebbe innescare quel circolo virtuoso di riforme di cui il paese ha un disperato bisogno”.

FISCO: 'TASSE BELLE', CAPEZZONE CONTRO P.-SCHIOPPA

(AGI) - Roma, 7 ott. - La frase sulle "tasse bellissime" apre una nuova polemica su Tommaso Padoa-Schioppa. "E' una frase rivelatrice della cultura e della mentalita' di questo governo, che vede nell'imposizione fiscale una sorta di misura salvifica rispetto al peccato commesso da chi guadagna con il suo lavoro o la sua impresa", commenta Fabrizio Cicchitto. Il vicecoordinatore di FI accusa il ministro dell'Economia di "una visione penitenziale e punitiva della vita che si combina con il paternalismo altezzoso e arrogante di chi ha appellato i giovani come dei 'bamboccioni'. E' un governo i cui ministri ci riservano ogni giorno delle sorprese e delle gaffe straordinarie, delle quali, come opposizione li ringraziamo". Daniele Capezzone, promotore di Decidere.net e presidente della commissione Attivita' produttive della Camera osserva che "dopo aver insultato qualche milione di giovani italiani trattati, grosso modo, come un branco di ragazzini che faticano a staccarsi dalla mamma, il ministro Padoa-Schioppa afferma che le tasse sono 'una cosa bellissima'. Non si sa cosa pensare: forse una gaffe, l'ennesima, forse una beffa crudele ai danni dei contribuenti, forse molto semplicemente il fatto che Tommaso Padoa-Schioppa ha perduto il contatto con la realta' del Paese che dovrebbe governare. Un ministro o un marziano a Via XX Settembre?".

venerdì 5 ottobre 2007

Il fallimento perfetto


Le carte segrete, i protagonisti, i retroscena dell'inchiesta sulla vendita dell'Italsider, il crac dello stabilimento Omsav e l'operazione immobiliare della Darsena di Savona

Un clamoroso crac industriale, affari immobiliari, giochi politici, società che affiorano e spariscono, trame nascoste, nomi, tanti nomi di spicco del mondo politico, imprenditoriale e sindacale savonese, interpreti di un piccolo ma significativo capitolo della storia recente ('90-'96) che ha il sapore amaro di una verità mai svelata fino in fondo. "Il fallimento perfetto" (edito da Viennepierre) racconta, attraverso gli atti di un'indagine della magistratura e i rapporti della Digos, la dismissione dell'Italsider, il fallimento a tempo di record della società che ne rilevò gli impianti e il cambio di destinazione d' uso delle aree affacciate alla vecchia darsena. Aree sulle quali oggi sta sorgendo un grande quartiere residenziale firmato dall'architetto catalano Ricardo Bofill. La vicenda dell'Italsider - fabbrica simbolo delle prime lotte dei lavoratori, dalla quale uscirono perseguitati antifascisti e martiri per la Resistenza - e gli eventi successivi alla cessione dello stabilimento furono oggetto di un'inchiesta giudiziaria di cui si persero definitivamente le tracce nel 1996, anno in cui il procuratore titolare delle indagini, Renato Acquarone, promosso giudice della Corte di Cassazione, affidò il fascicolo al suo successore.
Gli atti dell'inchiesta rimasero cinque anni a macerare negli archivi del Tribunale di Savona, per poi essere distrutti come pare avvenga puntualmente per tutte le indagini scaturite da esposti anonimi. L'ultima testimonianza di quel minuzioso lavoro investigativo riemerge in questo libro il cui autore fu all'epoca cronista dei fatti. Pagina dopo pagina si snoda una storia esemplificativa del modo in cui nel nostro Paese sono stati governati i processi di dismissione delle grandi industrie pubbliche e dell'immutabile intreccio tra politica e affari che ancora oggi continua a spianare la strada alle più ardite speculazioni immobiliari lungo le coste della Liguria. Il libro si avvale della prefazione di Giorgio Galli. Storico delle dottrine politiche, Galli è uno dei maggiori politologi italiani, autore di numerosi libri di successo incentrati soprattutto sulla recente storia politica italiana e commentatore per verie testate giornalistiche. "Il fallimento perfetto" sarà presentato al pubblico, venerdì 5 ottobre alle 20.30, nella sala rossa del Comune di Savona, alla presenza fra gli altri di Peter Gomez, noto giornalista dell'Espresso che proprio alle speculazioni immobiliari in Liguria dedicò un' inchiesta, lo scorso giugno, che fece molto scalpore. Il libro sarà in vendita nelle librerie e nelle edicole.


L'autore: Bruno Lugaro, nato a Savona nel 1959, è giornalista del Secolo XIX dal 1989. Ha sempre svolto la sua attività nella redazione di Savona occupandosi di cronaca politica, economica, sindacale. Ha collaborato con l'emittente televisiva Primocanale, contribuendo a lanciarla a Savona, nel 2000, con servizi e dibattiti settimanali sui grandi temi locali.

Nuovo indirizzo email

Attenzione!

Da oggi sarà operativo il nuovo indirizzo email info@decideresavona.net perciò per ogni segnalazione, informazione o qualsiasi tipo di contributo si prega di inviare le vostre richieste all'indirizzo sopra citato. Infine è stato modificato anche l'indirizzo web: http://www.decideresavona.net/

L’incontro dei laico-liberali

L’appuntamento è per venerdì 5 ottobre nella sede de L’Opinione
di Paolo Della Sala

Venerdi il nostro quotidiano ospiterà un Vertice delle organizzazioni laico-liberali. Questo progetto mette finalmente da parte i dibattiti ideologici, rifiuta il tatticismo partitico e cerca soluzioni concrete, a partire da un patto di solidarietà tra politica, cultura e impresa. C’è da rifondare la politica e la rappresentanza civile dei cittadini, un compito che non può essere ricoperto dai grandi partiti. Servono nuovi percorsi e nuovi soggetti, non contro Berlusconi (a sinistra c’è ancora qualcuno che parla di “liberalismo”?) ma per realizzare ciò che non si è ancora fatto. Il Paese è tragicamente fermo al 1922. Da quasi un secolo trionfa ancora la delega feudale (contro le comunità locali) e questo spiega la crescente inesistenza della vita pubblica. C’è un “noi” e un “loro” mediato dalla stampa. Siamo diventati mezzadri delle lobbies. Abbiamo imparato a osteggiare il mercato.

Solo pochi e troppo brevi lampi di verità e libertà: la piccola e media impresa del Nord; i primi governi del Secondo dopoguerra; la rinascita della cultura neoliberale a partire dagli anni ’90. Il volto della crisi attuale è un misto di qualunquismo e voglia di uomini “duri e puri”. Ma è anche presente l’istanza opposta: riprendere in mano di persona la politica. Come? I liberali non “fanno massa”, cosa che invece riesce a Vati e capopopolo, con sempre maggior degrado: da D’Annunzio si è passati a Grillo. Occorre coordinarsi e unire le forze. Occorre prendere le armi dell’intelligenza. Fuor di metafora, di cosa stiamo parlando? L’unica cultura politica in grado di leggere la società contemporanea e migliorare le condizioni di vita è il liberalismo. La socialdemocrazia è un territorio di passaggio, oggi escluso da Scandinavia e Regno Unito. Il neocomunismo sostituisce le religioni nelle fasi di passaggio da un’economia agraria a una più evoluta. La socialburocrazia, presentata da Veltroni -e anche da qualche industriale- come nuova società dell’Armonia, non è altro che una Chinese way in versione europea, con i diritti civili e le cooperative al posto del Partito. Decidere, Riformatori liberali, Pri e Pli, Progetto di Nordest, un gruppo di politici e parlamentari con la fedina culturale pulita, un gruppo di imprenditori del nord sganciati da Confindustria, l’insieme della stampa, delle fondazioni, dell’editoria liberale. Ecco i soggetti che possono decidere scelte piccole ma importanti. C’è la volontà e la disponibilità : non è poco. Occorrono iniziative che arrivino all’insieme dei cittadini, cosa impossibile alle singole organizzazioni. Bisogna uscire da cortili e recinti troppo piccoli per avere chances. Bisogna integrare media e new media.
Gli imprenditori: occorre fare rete col loro universo. “Ognuno per sé, Dio contro tutti”, recita un antico detto. Confindustria non è più un’alternativa: è figlia di un modello di società inadeguato. Serve una struttura che colleghi le imprese, che crei legislazione liberale, ma per favore non chiamiamola Confindustria2. E’ necessario prendere in mano le relazioni col mondo: aprire l’Italia al mondo, alle culture, al commercio. Il modello equo-solidale cattocomunista è disastroso, perché chiude l’orizzonte e lo limita al mondo degli emigrati. In questo modo condanna gli emigrati a emigrare, non risolve i loro problemi, che necessitano invece che di libera immigrazione di una libera e moderna industrializzazione dell’Africa e dei paesi arabi. Servono strutture che dimostrino che i liberali sono in grado di fare impresa e avere successo, incrementando gli interscambi economici e culturali con l’Estero (senza rifare l’Ice). A partire da un quotidiano italiano in lingua inglese: ce l’hanno quasi tutti i Paesi del mondo, ma non l’Italia, che pure ha decine di milioni di emigrati nei soli USA. Occorre dare prospettive nuove ai lavoratori dipendenti: la Triplice è il vero Mainframe del potere che sta replicando il duopolio DC-PCI sotto il falso nome di PD. Aprire i cantieri delle idee non basta. Servono quelli reali. Senza voli pindarici, con pazienza da formiche. Come è possibile continuare ad essere assenti dal mondo della scuola? Si crei un portale per studenti e professori, si diffondano idee, ma soprattutto si creino reti di persone. Numeri e fatti: questo vogliamo, questo occorre fare.
tratto da: l'Opinione.it

giovedì 4 ottobre 2007

Appuntamento a Genova

Incontro, domani, venerdì 5 ottobre alle ore 18 presso il "mentelocale" di Genova (zona De Ferrari). L'appuntamento organizzato dal gruppo locale ligure di decidere.net servirà per fare il punto della situazione ed organizzarsi al meglio per i prossimi eventi. Per ulteriori info: decideresavona@libero.it

mercoledì 3 ottobre 2007

PAGLIARINI RISPONDE

di Giuliano Gennaio

"Una riforma federale per tagliare le spese e abbattere le tasse? Si può fare...basta mettersi tutti a lavorare."

Libmagazine ha intervistato Giancarlo Pagliarini. In Spagna per appuntamenti professionali, il più volte ministro e parlamentare della Repubblica Pagliarini ci ha raccontato le diversità tra i due paesi, l'Italia e la Spagna, in questo particolare momento storico. Ha affrontato inoltre il tema fiscale: meno tasse o meno spese?

G. Gennaio: Si respira un'aria diversa in Spagna, Pagliarini? Almeno dal punto di vista dei diritti civili e della tassazione progressiva, giusto?
G. Pagliarini: Giuliano, sembra di vivere trecento anni avanti qui in Spagna, una cosa pazzesca, un'esperienza nuova che vivo dopo tanti anni che ci torno..un paese cambiato e tutto perchè c'è un'autonomia forte, e un governo decisionista, tanto nella legislatura passata quanto in quella presente.

G. Gennaio: E pensare che fino a qualche tempo in tutte le classifiche economiche, quelle sulle libertà civili e sulla competitività dei paesi europei, la Spagna era sempre qualche gradino più in basso dell'italia. Ormai non è più cosi...
G. Pagliarini: Il punto cruciale è proprio questo: ci sono tante classifiche, su istruzione, ricchezza, qualità della vita e molte altre. E l'Italia ormai sta toccando il fondo in ognuna di queste clessifiche. E la colpa non è tanto del fatto che i cittadini italiani sono meglio o peggio di quelli spagnoli, o di quelli francesi, tedeschi e altri. Il problema è che noi siamo rovinati da una classe politica che ormai non pensa più al bene comune ma solo a comandare, ai loro interessi, alle loro quote di potere. Anche l'ultima sparata di Bossi sullo sciopero fiscale è figlia di un comportamento becero di questa classe politica. Bossi dice: per mandare a casa Prodi ci vuole uno sciopero fiscale. Si certo, si può anche condividere, ma poi, mandato a casa Prodi? Il problema si ripresenta, in quanto il vero problema è organizzare meglio il nostro paese. E con questa classe politica non penso sia facile farlo. Menomale che ora Capezzone si è mosso e siamo tutti pronti a lanciare un'opa sulla politica, un'offerta pubblica di alleanza tra quelli che vogliono realmente realizzare cose. Un network con dei cantieri per una politica ad alta velocità.
G. Gennaio: Oggi, in Italia, il dibattito verte tra i rigoristi che vogliono tagliare la spesa e i liberisti che vogliono tagliare le tasse. Ma non si riesce a fare entrambe le cose in un paese pieno di caste e di sprechi?
G. Paglairini: Certo, oggi chi dice al suo elettore che vuole diminuire le tasse lo prende in giro. Un politico decisionista oggi deve tagliare una certa spesa x per poter abbassare una certa tassa y. Solo cosi si può prevedere un processo riformistico adatto all'abbattimento della spesa e all'alleggerimento fiscale.E per fare questo in Italia bisogna scuotere la classe politica. E non è facile farlo..

G. Gennaio: Uno dei cantieri di Decidere.net è la Flat tax, una tassa piatta al 20%. Si potrà mai pensare ad un provvedimento di questo tipo in Italia? In Europa in molti paesi ha funzionato... G. Pagliarini: Assolutamente si. Questo è un provvedimento fondamentale che io vedo all'interno di uno scenario di riforma federale più ampio dove si decide insieme quali sono le priorità da assegnare allo Stato e quali quelle da lasciare in autonomia al privato o alle regioni. Prima bisogna però decidere questi compiti di esclusivo riservo statale. Poi ogni regione deve essere libera di decidere come regolare i propri rapporti con i cittadini e di come finanziare eventuali servizi a loro offerti. Nei cantieri di Decidere.net infatti è prevista anche una forma di federalismo competitivo, cosa che permetterebbe, come è successo in Svizzera tra i vari cantoni, di poter proporre anche provvedimenti come la flat tax. Pensate che ogni anno la confederazione svizzera pubblica la classifica della pressione fiscale tra i suoi 26 cantoni, aumentando quindi la competizione tra i cantoni per aumentare, di conseguenza, l'attrattività verso i cittadini. In Italia si potrebbe fare lo stesso, con una tassa piatta che finanzia i compiti esclusivi dello stato e una fiscalità competivitiva tra regione e regione: una regione che vorrà dare tanti servizi al cittadino, farà pagare molte tasse e una regione che prevederà meno tasse, darà meno servizi: i cittadini poi sceglieranno dove vivere. Ci potrebbe anche essere un caso in cui non si pagano tasse, come nel Nevada, negli Stati Uniti, dove si è deciso di far entrare nel processo di definizione dei servizi al cittadino, anche i privati.

G. Gennaio: Quello che descrive lei sembra un paradiso...
G. Pagliarini: Bisogna avere il coraggio di provarci..basta mettersi tutti a lavorare.

martedì 2 ottobre 2007

Antonio Martino risponde


Con Antonio Martino, Ministro degli Affari Esteri nel primo Governo Berlusconi e Ministro della Difesa nel secondo e terzo Governo Berlusconi, discutiamo di tasse e di riforma fiscale.


A.DiCarlo - Professor Martino, la flat tax può essere una delle ricette da adottare per far ripartire l'economia italiana?

Martino - Assolutamente sì, perchè adottare un sistema basato su un'unica aliquota - oltre all'enorme vantaggio che ha in termini di semplificazione dell'ordinamento tributario - ha anche quello di scoraggiare le spese legate a trovare modi legali per eludere il fisco, quindi a scoraggiare l'elusione e l'erosione, nonché ad incoraggiare la produzione di reddito, l'investimento, il risparmio, il lavoro che restaura gli incentivi di mercato. Mettetevi nei panni di un contribuente che ha una aliquota marginale del 50%: se produce un milione gli resta 500.000, mentre se elude un milione gli resta un milione, quindi per lui eludere vale il doppio che produrre e dedicherà il doppio degli sforzi ad eludere anziché a produrre. Se noi abbassiamo l'aliquota, e ne adottiamo una sola al 20%, si pone fine a questo circolo vizioso.


A.DiCarlo - Come si riesce a rendere compatibile la tassa piatta con il principio di progressività?

Martino - La progressività - su cui la nostra Costituzione fonda il sistema tributario - può essere realizzata sia con un sistema a pluralità di aliquote che vanno via via salendo, come quello attualmente in vigore, che con una unica aliquota, poiché, grazie ad una fascia di reddito esente ed al meccanismo delle detrazioni ed esenzioni, il sistema resta progressivo.


A.DiCarlo - Ha qualche rimpianto per l'esperienza dell'ultimo governo Berlusconi, per non aver sufficientemente affrontato la materia fiscale?

Martino - Devo dire - pur non essendo quello tributario il settore di mia compentenza nello scorso esecutivo - che avrei preferito maggior coraggio in materia fiscale. Devo però dire per obiettività che non è stata responsabilità di Berlusconi, non è stata responsabilità di Forza Italia. Berlusconi voleva realizzare riforme molto più coraggiose ma sono stati i nostri alleati che si sono opposti. Purtroppo abbiamo ancora molta strada da fare per far capire alla gente che se vogliamo davvero far pagare le tasse ai ricchi le aliquote alte devono diminuire, poiché se restano alte non le paga nessuno. D'altronde, queste maledette aliquote alte non è che fruttino poivtanto visto che il gettito di tutte le imposte dirette in Italia rappresenta meno del 10% del PIL. Dunque, questo sistema nominalmente e ferocemente progressivo, di fatto, non frutta niente poiché, i contribuenti ricchi riescono regolarmente ad evitare la tassazione.


di Alessio di Carlo

lunedì 1 ottobre 2007

Fisco. Tassa piatta al 20%. La rivoluzione fiscale è possibile

Noi chiediamo di passare in 5 anni ad un'aliquota unica (flat tax) del 20%. Il costo sarebbe coperto da una riduzione della spesa pubblica (al netto della spesa per investimenti e per interessi sul debito) dell'1% annuo (5% in 5 anni), il che equivale a dire riduzione della spesa pubblica complessiva, calcolata in rapporto al Pil, dello 0,4% annuo (2% in 5 anni, dal 51 al 49%).

Spieghiamo bene i dettagli. Attualmente, in Italia, la normativa vigente in materia di imposte sui
redditi prevede 3 aliquote (più una quarta per i "super-ricchi"), con aliquota minima al 23%.
L'aliquota media, ossia il livello al quale un'eventuale flat tax lascerebbe invariato il gettito
complessivo dell'imposta sui redditi, risulta invece pari al 27,1%. In altri termini, un'aliquota di flat tax ad un livello inferiore al 27,1% richiederebbe la copertura degli oneri (e andrebbe a beneficio dei contribuenti considerati nel loro complesso). E solo un'aliquota inferiore al 23% andrebbe a beneficio, invece, di ciascuno dei contribuenti: di qui la nostra opzione per il 20%.

Si dirà: ma una cosa del genere costa troppo…Come può permettersela l'Italia? Premesso che tutte le stime non tengono conto dell'assai verosimile effetto di recupero di gettito legato all'emersione di nuova base imponibile che sarebbe procurata dalla flat tax (è la celebre questione della curva di Laffer) ; e premesso che all'aliquota unica si arriverebbe per gradi, per cui fino all'entrata a regime (fino al 5° anno), i costi annualizzati sarebbero anche inferiori; premesso tutto questo, dicevo, il costo annuo ipotizzabile sarebbe di 36 miliardi di euro.

Ecco, questo costo -come si diceva all'inizio- potrebbe essere compensato con una riduzione della spesa pubblica (al netto della spesa per investimenti e per interessi sul debito) del 5%, pari a una riduzione della spesa pubblica complessiva, calcolata in rapporto al Pil, del 2%. “Annualizzando" il discorso, e ipotizzando -appunto- di spalmare la riforma su un periodo di 5 anni, si può dire -pertanto- che il passaggio in cinque anni alla tassa piatta del 20% potrebbe avvenire a fronte di una riduzione della spesa pubblica totale del 2% in cinque anni, cioè dello 0,4% annuo (ossia dal 51% al 49%). E non si dica che, con una spesa pubblica al 51% del Pil (in Inghilterra sono circa al 35%, 16 punti sotto!!), non sarebbe possibile tagliarla di meno di mezzo punto all'anno…

Ultima cosa: il problema della progressività. Abbiamo pensato anche a questo. Va infatti realizzata una rimodulazione del sistema delle detrazioni e delle deduzioni, nonché della no tax area, al fine di assicurare il rispetto del principio di progressività sancito dall' art.53 della Costituzione (in pratica: riduzione delle detrazioni e delle deduzioni per le fasce di reddito più alte, e aumento per le fasce più basse).

Ecco, questo (insieme ad una ipotesi di federalismo fiscale competitivo, con un significativo trasferimento della potestà impositiva dal livello centrale a quello periferico, e con la possibilità anche di pervenire a diversità di livelli di pressione fiscale locale nei diversi territori, proprio per favorire la competizione) è il nucleo della proposta fiscale di Decidere.net.
Forme di copertura possibili:

IMPRESE
a) Abolizione dei trasferimenti ad imprese
(spese correnti + investimenti) 14,5 mld annui dal 2008
PROVINCE E COMUNITA’ MONTANE
b) Abolizione Province
(escluse le spese di personale) 5,3 mld annui dal 2008
c) Abolizione comunità montane
(escluse le spese di personale) 0,66 mld annui dal 2008
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
d) Blocco turn-over PA 8,5 mld nel 2008
12,75 mld annui dal 2009
e) Moratoria contrattazione pubblico impiego 6.0 mld nel 2008
9,0 mld nel 2009
12,0 mld annui dal 2010
f) Risoluzione 70% consulenze PA 2,0 mld nel 2008
3,0 mld annui dal 2009
g) Risoluzione rapporto d’impiego precari PA 4,0 mld nel 2008
6,0 mld annui dal 2009
PENSIONI
h) innalzamento età pensionabile a 65 anni 1,0 mld nel 2011
1,5 mld nel 2012
2,7 mld nel 2013
3,5 mld nel 2014
4,0 mld nel 2015
7,0 mld annui dal 2018

IPOTESI DI COPERTURA FLAT TAX
Per la copertura dei 36 mld di euro annui a regime (ossia dopo 5 anni dalla sua introduzione…)
della flat tax, questi sono alcuni dei mix possibili:


d + e + f + g = totale 33,75 mld annui (dal 2010) (mix politicamente interessante, centrato sulla
razionalizzazione della PA)


a + b + c + d + f = totale 36,21 mld annui (dal 2009) (non prevede il licenziamento dei precari dellaPA)


a + b + c + e + f = 35,46 mld annui (dal 2010) (non prevede il licenziamento dei precari della PA)


Inoltre, se si fa subito la riforma delle pensioni (innalzamento a 65 anni per tutti) e si spalma la
riforma della flat tax su un periodo più lungo, sono utilizzabili anche i risparmi crescenti di cui al
punto h).